Vito Franchini e il suo Tigre d’Africa: la prima puntata di una travolgente trilogia

Diciamolo subito, a scanso di equivoci: chi volesse leggere un nuovo thriller della serie dedicata all’intrepida poliziotta Sabina Mondello e al suo collaboratore fuori da ogni schema Nardo Baggio dovrà aspettare ancora un po’. Franchini con Tigre d’Africa ci stupisce e ci convince: ha scritto un magnifico romanzo storico, avventurosissimo, ambientato nell’Africa Nera all’inizio del 1700

Non poteva che essere questa la prima domanda che abbiamo posto al suo poliedrico autore: come mai hai cambiato completamente genere? Spiegaci il perché di questa svolta.
Io, in realtà, provengo dal genere storico–avventuroso. Dapprima come vorace lettore, successivamente come autore, auto pubblicando una serie di romanzi dedicati a Shasmahal, la città meravigliosa, sperduta sulla costa sud est africana. La vera svolta, quindi, sono stati i thriller pubblicati da Giunti grazie ai quali sono stato conosciuto dal pubblico delle librerie. Dopo il successo de “Il Predatore di Anime” e de “Il 9 che Uccide” ho rimesso le mani sulle mie trame africane. Le storie poliziesche mi appassionano molto e, attingendo al mio mondo lavorativo, sono Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri, ne ho sempre in mente di nuove, ma l’avventura è il mio habitat letterario naturale

Leggendo Tigre d’Africa si coglie che il tuo legame con l’Africa non è solo letterario. Cosa rappresenta per te questo continente?
Casa, innanzitutto. Ci ho vissuto per tanti anni, da ragazzino, principalmente nei paesi del Magreb. Più di recente ho vissuto per lavoro in Tanzania, proprio sulla costa dell’Oceano Indiano dove è ambientato Tigre d’Africa.  
Noi esseri umani, come specie, siamo nati e ci siamo evoluti in quel continente arso dal sole, cosa che ho scoperto approfondendo una delle mie passioni, l’antropologia evoluzionistica. 
L’Africa, infine, è la terra che mi ha reso orfano, strappandomi mio padre, proditoriamente, troppo presto, tanti anni fa. Sono in credito, quindi, e intendo riscuotere prendendo in prestito un po’ delle sue meraviglie per usarle come condimento delle mie storie.  

Come ti sei preparato per scrivere questo libro ambientato in un contesto storico e geografico preciso: si parla di velieri, di armi, di conoscenze scientifiche, di rotte degli schiavi, di eserciti mercenari?
La contestualizzazione storica dei miei intrecci è un’attività che trovo maledettamente divertente. Ho scelto gli inizi del diciottesimo secolo principalmente perché in quel periodo i maestri d’ascia iniziavano a costruire velieri capaci di navigare di bolina, imprimendo ai commerci marittimi, e alla colonizzazione del mondo, un’importate accelerata. Ho attinto a piene mani da alcuni romanzi di Wilbur Smith, il grande maestro del genere, che a sua volta ha ambientato molti dei suoi capolavori in quei mari e in quei tempi. E poi ho fatto tanta ricerca: nomino personaggi storici, faccio riferimento agli equilibri politici europei. Infine, accenno a un tema a me molto caro: la tratta degli schiavi. È un abominio storico che tutti conoscono ma che pochi hanno approfondito. È sconvolgente, travalica qualsiasi finzione horror… e così ho sentito la necessità di raccontarlo sfruttando la mia fortunata posizione di autore per condividere quello che ho studiato, sotto forma di narrativa. 

Il protagonista di questo romanzo, il giovane Madhat, è un personaggio molto intenso, pieno di luce, ma capace di muoversi nell’ombra. Ha qualcosa in comune con Nardo e Sabina, i protagonisti della tua serie thriller?
Nella narrativa avventurosa spesso i protagonisti sono dei superuomini o giù di lì. Madhat invece è un giovane uomo ricco di doti ma anche preda di sconforti, insicurezze e facile allo sbaglio. In questo è molto diverso da Nardo e Sabina, i miei personaggi contemporanei, che sono dei professionisti quadrati e competenti. D’altro canto, Madhat compie imprese eroiche, di fatto, mentre Nardo e Sabina di eroico hanno poco, alla fine. 
È assai difficile generare personaggi credibili in serie, e soprattutto accontentare tutti i lettori, dotati di palati variegati a dir poco. Non mi lamento di come il pubblico ha accolto e imparato a conoscere i miei protagonisti moderni, ora gli affido Madhat, vediamo come se la caverà.

Nel tuo romanzo ci sono figure leali, ambigue, affascinanti o crudeli. A parte Madhat, protagonista assoluto di innumerevoli avventure, qual è il tuo personaggio preferito e perché?
In Tigre d’Africa non tutti i “buoni” sono anche belli e invincibili, e i cattivi non sono necessariamente brutti e con l’alito pesante. Ho una predilezione particolare per i figli dell’Africa che colorano la trama. Zainabu, ad esempio, incarna tutto il buono che le tradizioni millenarie della sua terra sanno generare. Anche lei, però, è capace di tessere macchinazioni machiavelliche… Ho affidato, invece, al vecchio Anafì gran parte dei messaggi importanti del mio libro, quelli che solo chi è nato ed è riuscito a sopravvivere in un ambiente come quello africano può trasmettere con facilità. 
Io, alla fine dei conti, mi sono divertito come un bambino a Disneyland a confezionare Tigre d’Africa. E non vedo l’ora di condividere tale gioia con chi sceglierà di leggermi.

Pronti per accompagnare Mahad e i suoi concittadini nella disperata impresa di salvare Shasmahal, la città meravigliosa? Preparatevi a vivere moltissime avventure e a trattenere il fiato pagina dopo pagina in un crescendo di violenza, vendette, fughe, passioni e colpi di scena.
 

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